INTERVISTE
Tommaso Labranca

Sei particolarmente fiero di non fare letture nelle biblioteche. Come mai?
Per boutade in primo luogo. E poi per reazione. In questi ultimi dieci anni ho avuto brutte esperienze nelle biblioteche. Solitamente non mi trovavo di fronte un pubblico curioso di ascoltarti, ma una piccola folla di persone prevenute. Sono prevenuto anche io, ma loro più di me. Anziane maestre che si aspettavano Romano Battaglia, studenti universitari incolti nella barba e nella formazione letteraria che non riuscivano a vedere "il sangue e la carne" in ciò che scrivo. E poi certi bibliotecari residuati di un 68 fatto per interposta persona. Comunque non faccio letture nemmeno nelle librerie o nei salottini delle FNAC.
Mi pare che nei tuoi libri, come in quelli di Aldo Nove, ci sia la medesima parabola. Partiti da uno stile "oggettivo", denotativo direi, e da un linguaggio slabbrato e svalutato (lui l'usava, tu l'analizzavi) siete arrivati alle soglie dell'intimismo (lui nella narrativa, tu nei fatti privati che racconti nelle ultime pagine di questo "Isolazionista"). Mi piacerebbe sapere cosa pensi in proposito.
Sì, è vero. Credo dipenda da un certo cammino comune benché compiuto a distanza. Devi tenere presente le origini di Nove e le mie, che sono praticamente le stesse per località e tempi. Non so spiegare il perché della svolta "intimista". Forse negli anni Novanta osservavamo tutti quei fenomeni di slabbratura confusionale e li riportavamo secondo i nostri stili. Rispetto al decennio precedente non è cambiato molto nel mondo del microsociale. Non parlo dei grandi scenari mondiali toccati dalle paure del terrorismo. Parlo proprio degli armadi di casa nostra. Tra un armadio o un portacassette del 1976 e uno del 1981 ci sono differenze incolmabili. Tra quello che si portava o ascoltava nel 1998 e quello che si porta/ascolta oggi le differenze sono minime. Di fronte a questa noia, a questa stasi estetica credo sia stata una scelta quasi naturale ripiegarsi su se stessi.
Fai spesso sfoggio di cultura - proprio quella "seria". Così come mostri capacità d'analisi musicale non comuni. Inventi tutto, sapendo che mai nessuno andrà a controllare, o hai delle pezze d'appoggio, casomai...?
Non credo di fare sfoggio. A volte mentre scrivo mi vengono in mente richiami, nomi, opere, campionamenti di frasi lette o ascoltate e le inserisco. Forse colpisce perché la maggior parte delle persone scrive o parla facendo riferimento solo a pochi e noiosissimi maestri, pensa a quanto hanno citato Chomsky ultimamente. Non citando vacuamente i maestri alla moda, ma rifacendomi a mie conoscenze personali che vanno dalla musica rinascimentale alla tecnologia Bluetooth, la cosa magari colpisce. Il mio desiderio in fondo è quello di uccidere Arbasino e prendere il suo posto.
Comunque non invento nulla, mi rifaccio sempre a cose che so e mentre scrivo passo molto del mio tempo controllando grafie, date, nomi perché è impossibile ricordare con precisione tutto. In Chaltron Hescon ci sono alcune imprecisioni perché uno dei due editori di Stile Libero, cui non stavo particolarmente simpatico, invece di apportare le correzioni mandò in stampa la bozza sbagliata. Con Castelvecchi controllo meglio il lavoro.
"Dietro l'errore, c'è un progetto": così in "Chaltron Hescon". E, detto fra noi, Aldo Nove scambia Woobinda con Orzowei. C'è ancora, il progetto?Quale?
Il progetto dietro l'errore di Aldo Nove era: il pubblico è distratto, recepisce tutto senza distinzione, senza cura, senza attenzione. Confondere un telefilm con un altro è il migliore esempio di Realismo del XX secolo, perché Aldo Nove, dietro le sue costruzioni che sembrano fantascientifiche, è un realista assoluto. Realismo che non si trova in nessuno di quei tristi scrittori dall'intento psicologico che narrano i patemi generazionali di trentenni o quarantenni divorati dal dubbio in patetici romanzetti pseudomucciniani. Oggi non c'è progetto perché non ci si cura più dell'errore, proprio perché, come dicevo prima, ci si è stancati di seguire un mondo che non cambia. E il realismo di Aldo Nove, nel libro sui precari, è diventato più à la Daumier.
Ogni volta che leggo qualcosa di tuo, mi viene in mente Melville: "Come può il prigioniero fuggire, se non attraverso il muro che lo cinge?".
Chi ti dice che io voglia fuggire? Quando io ho parlato di trash o di cialtroni o di neoproletari ho sempre sottolineato con forza la mia appartenenza a quel mondo e il mio desiderio di non esserne escluso.
Vivi nella sedicente Repubblica del Nord. Che te ne pare?
Credo che, eccettuata l'Islanda e Bissone, piccolo centro sul Lago di Lugano, non sarei capace di vivere in nessun altro luogo.
Quando vedo cose come il Concerto del Primo Maggio dove gruppuscoli musicali del Sud approfittano dell'unico quarto d'ora di celebrità per sfogarsi con orrende nenie reggae contro un Nord ricco e cattivo prima mi viene da ridere, poi mi innervosisco. Li prenderei per il colletto e li farei venire qui, a vedere i "ricchi e cattivi" che cercano di sopravvivere.
Hai scritto "Neoproletariato", dove analizzi la voglia dei poveri e degli indifesi d'apparire ricchi e (pre)potenti - d'ottenere non plusvalore, ma "pluscool". I termini (e i concetti) che usi derivano da Marx: segno che la società sta tornando al paleocapitalismo?
Segno che Marx è stato il più grande fallito della storia. Non ne ha azzeccata una e ad averne orrore sono proprio coloro che invitava a unirsi. Il neo-popolo non vuole lottare contro il sistema, ma far parte del sistema. Le centinaia e centinaia di pagine del Capitale non hanno alcun appeal. Una sola foto di Briatore abbronzato e in compagnia di Naomi Campbell può davvero spostare voti. Peccato che Bertinotti si ostini a non capirlo e a vivere in una bolla d'aria, senza alcun contatto con la realtà.
Dwight Macdonald parlava di "midcult" per indicare quei prodotti che soddisfacevano la voglia di parere colti degli individui massificati. Ciò ha punti di contatto con il "pluscool"?
Il midcult è il mezzo con cui si raggiunge il pluscool. Incontro ogni giorno centinaia di persone che non sa distinguere tra Raffaello Sanzio e Raffaello Tonon. Eppure sono gli stessi che fanno la fila davanti alle mostre più mediocri di Van Gogh o si spostano in massa nei week end per affollare le città d'arte, come recitano a ogni ponte i giornalisti di Studio Aperto. Stare nella fila davanti al museo, come i due sciagurati personaggi di cui parlo in Chaltron Hescon, o sedersi sui gradini di un qualsiasi palazzo fiorentino sono modi di partecipare al Grande Spettacolo del Pluscool, dell'essere là dove ci sono le telecamere inviate da Mario Giordano. Che a sua volta produce un tg midcult, per soddisfare la voglia di essere informato di individui massificati.
Perché te la pigli con Battiato che in una sua canzone non ha tenuto presente le minime di temperatura su Leningrado (oggi S. Pietroburgo)?
Potresti fare la stessa domanda a Berselli.
Non so come mai ha molto colpito quel capitolo su Battiato. Nota: su Battiato, non contro Battiato. Considero Battiato uno dei miei maestri di pensiero e d'arte ed è stato difficile superare la fascinazione del suo mondo citazionista che ricreava mondi e atmosfere da un frammento. La Francia del Gruppo dei Sei, il teutonismo di Wagner, le sfumature turchesi di un Islam che cercava di difendersi dalla latinizzazione della lingua araba...
In quello scritto mi era piaciuto prenderlo a esempio di un cialtronismo massimalista in cui tutti cadiamo quando parliamo di tipologie nazionali. Esiste una specie di "Parte Seconda" di quel capitolo, che ho scritto anni dopo, in seguito alla visione del suo primo film. Ma per ora giace in qualche settore del mio disco rigido.
A noi puoi dirlo: Norma Jeane non esiste. (Peraltro, era il vero nome della Monroe).
E invece vi dico che esiste. Anzi esisteva. Era il nom de plume usato da un viziatissimo rampollo dell'alta borghesia rossa milanese che si era fissato di fare l'artista semplicemente esponendo sedie rovesciate. Di lui mi sono giunte solo poche e frammentarie notizie, ma pare che, passata comunque la giovinezza, continui a fare il giovane artista rivoluzionario. Un tempo mi stava simpatico.
Per boutade in primo luogo. E poi per reazione. In questi ultimi dieci anni ho avuto brutte esperienze nelle biblioteche. Solitamente non mi trovavo di fronte un pubblico curioso di ascoltarti, ma una piccola folla di persone prevenute. Sono prevenuto anche io, ma loro più di me. Anziane maestre che si aspettavano Romano Battaglia, studenti universitari incolti nella barba e nella formazione letteraria che non riuscivano a vedere "il sangue e la carne" in ciò che scrivo. E poi certi bibliotecari residuati di un 68 fatto per interposta persona. Comunque non faccio letture nemmeno nelle librerie o nei salottini delle FNAC.
Mi pare che nei tuoi libri, come in quelli di Aldo Nove, ci sia la medesima parabola. Partiti da uno stile "oggettivo", denotativo direi, e da un linguaggio slabbrato e svalutato (lui l'usava, tu l'analizzavi) siete arrivati alle soglie dell'intimismo (lui nella narrativa, tu nei fatti privati che racconti nelle ultime pagine di questo "Isolazionista"). Mi piacerebbe sapere cosa pensi in proposito.
Sì, è vero. Credo dipenda da un certo cammino comune benché compiuto a distanza. Devi tenere presente le origini di Nove e le mie, che sono praticamente le stesse per località e tempi. Non so spiegare il perché della svolta "intimista". Forse negli anni Novanta osservavamo tutti quei fenomeni di slabbratura confusionale e li riportavamo secondo i nostri stili. Rispetto al decennio precedente non è cambiato molto nel mondo del microsociale. Non parlo dei grandi scenari mondiali toccati dalle paure del terrorismo. Parlo proprio degli armadi di casa nostra. Tra un armadio o un portacassette del 1976 e uno del 1981 ci sono differenze incolmabili. Tra quello che si portava o ascoltava nel 1998 e quello che si porta/ascolta oggi le differenze sono minime. Di fronte a questa noia, a questa stasi estetica credo sia stata una scelta quasi naturale ripiegarsi su se stessi.
Fai spesso sfoggio di cultura - proprio quella "seria". Così come mostri capacità d'analisi musicale non comuni. Inventi tutto, sapendo che mai nessuno andrà a controllare, o hai delle pezze d'appoggio, casomai...?
Non credo di fare sfoggio. A volte mentre scrivo mi vengono in mente richiami, nomi, opere, campionamenti di frasi lette o ascoltate e le inserisco. Forse colpisce perché la maggior parte delle persone scrive o parla facendo riferimento solo a pochi e noiosissimi maestri, pensa a quanto hanno citato Chomsky ultimamente. Non citando vacuamente i maestri alla moda, ma rifacendomi a mie conoscenze personali che vanno dalla musica rinascimentale alla tecnologia Bluetooth, la cosa magari colpisce. Il mio desiderio in fondo è quello di uccidere Arbasino e prendere il suo posto.
Comunque non invento nulla, mi rifaccio sempre a cose che so e mentre scrivo passo molto del mio tempo controllando grafie, date, nomi perché è impossibile ricordare con precisione tutto. In Chaltron Hescon ci sono alcune imprecisioni perché uno dei due editori di Stile Libero, cui non stavo particolarmente simpatico, invece di apportare le correzioni mandò in stampa la bozza sbagliata. Con Castelvecchi controllo meglio il lavoro.
"Dietro l'errore, c'è un progetto": così in "Chaltron Hescon". E, detto fra noi, Aldo Nove scambia Woobinda con Orzowei. C'è ancora, il progetto?Quale?
Il progetto dietro l'errore di Aldo Nove era: il pubblico è distratto, recepisce tutto senza distinzione, senza cura, senza attenzione. Confondere un telefilm con un altro è il migliore esempio di Realismo del XX secolo, perché Aldo Nove, dietro le sue costruzioni che sembrano fantascientifiche, è un realista assoluto. Realismo che non si trova in nessuno di quei tristi scrittori dall'intento psicologico che narrano i patemi generazionali di trentenni o quarantenni divorati dal dubbio in patetici romanzetti pseudomucciniani. Oggi non c'è progetto perché non ci si cura più dell'errore, proprio perché, come dicevo prima, ci si è stancati di seguire un mondo che non cambia. E il realismo di Aldo Nove, nel libro sui precari, è diventato più à la Daumier.
Ogni volta che leggo qualcosa di tuo, mi viene in mente Melville: "Come può il prigioniero fuggire, se non attraverso il muro che lo cinge?".
Chi ti dice che io voglia fuggire? Quando io ho parlato di trash o di cialtroni o di neoproletari ho sempre sottolineato con forza la mia appartenenza a quel mondo e il mio desiderio di non esserne escluso.
Vivi nella sedicente Repubblica del Nord. Che te ne pare?
Credo che, eccettuata l'Islanda e Bissone, piccolo centro sul Lago di Lugano, non sarei capace di vivere in nessun altro luogo.
Quando vedo cose come il Concerto del Primo Maggio dove gruppuscoli musicali del Sud approfittano dell'unico quarto d'ora di celebrità per sfogarsi con orrende nenie reggae contro un Nord ricco e cattivo prima mi viene da ridere, poi mi innervosisco. Li prenderei per il colletto e li farei venire qui, a vedere i "ricchi e cattivi" che cercano di sopravvivere.
Hai scritto "Neoproletariato", dove analizzi la voglia dei poveri e degli indifesi d'apparire ricchi e (pre)potenti - d'ottenere non plusvalore, ma "pluscool". I termini (e i concetti) che usi derivano da Marx: segno che la società sta tornando al paleocapitalismo?
Segno che Marx è stato il più grande fallito della storia. Non ne ha azzeccata una e ad averne orrore sono proprio coloro che invitava a unirsi. Il neo-popolo non vuole lottare contro il sistema, ma far parte del sistema. Le centinaia e centinaia di pagine del Capitale non hanno alcun appeal. Una sola foto di Briatore abbronzato e in compagnia di Naomi Campbell può davvero spostare voti. Peccato che Bertinotti si ostini a non capirlo e a vivere in una bolla d'aria, senza alcun contatto con la realtà.
Dwight Macdonald parlava di "midcult" per indicare quei prodotti che soddisfacevano la voglia di parere colti degli individui massificati. Ciò ha punti di contatto con il "pluscool"?
Il midcult è il mezzo con cui si raggiunge il pluscool. Incontro ogni giorno centinaia di persone che non sa distinguere tra Raffaello Sanzio e Raffaello Tonon. Eppure sono gli stessi che fanno la fila davanti alle mostre più mediocri di Van Gogh o si spostano in massa nei week end per affollare le città d'arte, come recitano a ogni ponte i giornalisti di Studio Aperto. Stare nella fila davanti al museo, come i due sciagurati personaggi di cui parlo in Chaltron Hescon, o sedersi sui gradini di un qualsiasi palazzo fiorentino sono modi di partecipare al Grande Spettacolo del Pluscool, dell'essere là dove ci sono le telecamere inviate da Mario Giordano. Che a sua volta produce un tg midcult, per soddisfare la voglia di essere informato di individui massificati.
Perché te la pigli con Battiato che in una sua canzone non ha tenuto presente le minime di temperatura su Leningrado (oggi S. Pietroburgo)?
Potresti fare la stessa domanda a Berselli.
Non so come mai ha molto colpito quel capitolo su Battiato. Nota: su Battiato, non contro Battiato. Considero Battiato uno dei miei maestri di pensiero e d'arte ed è stato difficile superare la fascinazione del suo mondo citazionista che ricreava mondi e atmosfere da un frammento. La Francia del Gruppo dei Sei, il teutonismo di Wagner, le sfumature turchesi di un Islam che cercava di difendersi dalla latinizzazione della lingua araba...
In quello scritto mi era piaciuto prenderlo a esempio di un cialtronismo massimalista in cui tutti cadiamo quando parliamo di tipologie nazionali. Esiste una specie di "Parte Seconda" di quel capitolo, che ho scritto anni dopo, in seguito alla visione del suo primo film. Ma per ora giace in qualche settore del mio disco rigido.
A noi puoi dirlo: Norma Jeane non esiste. (Peraltro, era il vero nome della Monroe).
E invece vi dico che esiste. Anzi esisteva. Era il nom de plume usato da un viziatissimo rampollo dell'alta borghesia rossa milanese che si era fissato di fare l'artista semplicemente esponendo sedie rovesciate. Di lui mi sono giunte solo poche e frammentarie notizie, ma pare che, passata comunque la giovinezza, continui a fare il giovane artista rivoluzionario. Un tempo mi stava simpatico.
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