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Il Paradiso degli Orchi
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RACCONTI

Ermes Ronzani

Qui riposa il Toro.

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Era ancora inverno. La luce entrava storta, come se qualcuno o qualcosa all’esterno, la indirizzasse a suo piacimento. Sembrava quasi un gioco spietato, perché alcuni oggetti morivano nell’ombra, altri, destinati alla luce perpetua, sembravano invece fiorire. Poi c’era un gioco di colori che infastidiva, come se qualcosa fosse preferita all’altra
Il vaso non era nella direzione del sole. Sì proprio quello, il vaso che mi fu regalato in occasione di un viaggio, non organizzato, ad Arezzo, durante una mostra artigianale e di prodotti culinari che si svolgeva nella piazza principale. Una mostra che secondo alcuni (diciamo i locali) non aveva concorrenti nell’intera penisola.
Ripensare a quell’avvenimento non mi fece piacere, non so perché lo affiancai al colore nero. Ma nulla di nero c’era in quella storia. Pensai che fosse un desiderio astratto improvvisamente fattosi presente ma pur lo stesso non realizzato.
Era cominciato così.
“Posso andare a fare pipì?” dissi rendendomi conto che la necessità era superiore a qualsiasi altro manufatto esposto in piazza (lui era là, dritto e impalato, come se una leggera curvatura del suo asse potesse in qualche modo distruggere l’armonia del creato e di tutto lo spiazzo). Non ottenni risposta e me ne andai a cercare una toilette.
Optai per un bar. Un piccolo bar che si affacciava su una strada secondaria ma poco distante dal centro. Non aveva grosse insegne ma si distingueva per un interno dipinto di fresco e con un addobbo floreale acquerellato di verde e celeste.
Chiesi alla ragazza in cassa un caffè e un bagno. Senza nemmeno rivolgermi lo sguardo m’indicò una porta posta esattamente alla parte opposta dell’acquarello. Corsi addirittura.
Il bagno era minuscolo, sembrava addirittura di essere in una bara messa in verticale. Al contrario del locale che era pulito e tinto di fresco, l’ambiente era sporco e man messo. C’era appena un rotolo di carta appeso con un chiodo accanto al minuscolo lavandino.
Non appena cominciai a pisciare fui sorpreso da una scritta, incisa su una vecchissima mattonella, che recitava: “Qui riposa il toro”. La mattonella era diversa dal resto della facciata. Di un colore verdastro con la scritta in rosso che faceva distinguere la scritta.
Non capii il significato. Cioè: cosa voleva dire riposare? Quel posto era davvero una bara verticale? Ma per far riposare chi? Un toro inteso come un animale? O un uomo che s’appellava ironicamente come toro? E dove stava?
Mi guardai di nuovo intorno. Lo spazio era davvero poco per far “riposare” qualcuno. Pensai che fosse uno scherzo, qualcuno che volesse dar conto delle proprie capacità erettive.
 Feci in fretta i miei bisogni ed uscii senza aver prima chiesto alla signorina alla cassa: “mi scusi, ma cosa vuol dire quella scritta sulla mattonella ‘qui riposa il toro?’. Mi guardò storto, quasi come prima, quando gli avevo chiesto un caffè e il bagno.
“E’ il saluto di molti al corpo di Luigi”. L’uomo al banco mi sorrise e aggiunse anche “… in fondo lo sapevano tutti”. Poi riprese il suo lavoro, come se niente fosse, come se quello che aveva appena detto non avesse avuto il benché minimo senso.
“Cioè?” chiesi e restituendo un mezzo sorriso.
“Lo chieda a chi gestisce il cimitero”.
“E che c’entra il cimitero?”
Non rispose, sembrò addirittura che non fossi presente. Tentai ancora una volta, ma il tizio fece di tutto per non rispondermi. Uscii dal bar preso improvvisamente dall’idea di sapere come mai il responsabile di un cimitero dovesse in qualche modo essere a conoscenza dei fatti (o dei misfatti) di un uomo che in vita si faceva chiamare Toro.
Lui era ancora là, immerso nel caos nella mostra artigianale a tenendo in mano un vaso che a prima vista mi sembrò a dir poco impresentabile.
Chiesi ad un uomo dove fosse il cimitero di Arezzo. Mi rispose che se non mi dava fastidio mi ci poteva portare dal momento che la sua direzione non era molto distante. Acconsentii senza avvertire il mio compagno che sembrò invece tutto preso dall’acquisto del vaso.
Il cimitero era come tanti altri, e io non ero lì per scoprire chissà quali ardimentose architetture ma solo per sapere come mai un toro riposasse in un minuscolo bagno e soprattutto perché. Pensai addirittura che fosse uno scherzo dell’intera cittadinanza di Arezzo e di come certe espressioni possano in qualche modo interessare i turisti capitati per caso e non.
Un inserviente, appena qualche decina di metri dall’entrata, stava zappando un’aiuola piena di sterpi. Aveva un viso rossastro, ma non dipendeva dalla sua carnagione, ma credo da un’irregolare misura della pressione arteriosa.
“Mi scusi signore…”
Si volse di scatto e i suoi occhi erano piccoli e di colore azzurro.
“Mi dica…”
“Le sembrerà assurdo ma in un bagno di un bar c’era una mattonella con su scritto ‘Qui riposa il Toro”… sa, non me ne voglia ma la cosa mi ha incuriosito. Il cameriere del bar mi ha detto di chiedere al responsabile del cimitero. Ed eccomi qua… proprio di fronte a lei a cercar di capire chi fosse quel Toro e perché dovesse riposare proprio lì…”.
Che detto così non aveva nessun senso, ma in qualche modo un senso lo ebbe perché il responsabile del cimitero mi disse: “Au centre du jour, jeté dans le tas des sardines voyageuses d’un coléoptère à l’abdomen blanchatre, un poule tau grand cou déplumé harangua soudain l’une, paisible, d’entre elles et son langage se déploya dans les airs, humide d’une protestation. Puis, attiré par un vide, l’oisillon s’y précipita. Dans un morne désert urbain, je le revis le jour méme se faisant moucher l’arrogance pour un quelconque bouton.”.  (*)
Rise come se fosse l’unica cosa da fare e poi sparì.
Quando tornai in piazza mi misi a cercare il mio compagno. Era seduto su una panchina di legno abbracciato, si fa per dire, ad un vaso a dir poco impresentabile.
“Ma quanto è durata la pisciata?”
Non gli risposi ma dentro di me pensai che se non mi si fosse presentato davanti il responsabile del cimitero, forse sarei arrivato molto prima. Perché davvero… quanto può durare una pisciata?
(*) Tratto da Raymond Queneau – Esercizi di stile – Einaudi. Traduzione di Umberto Eco.







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