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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Han Kang

L'ora di greco

Adelphi, Traduzione di Lia Iovenitti, Pag. 162 Euro 18.00
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Un libro della premio Nobel 2024 Han Kang. Ce ne erano alcuni già tradotti qui in Italia ancor prima che la consacrassero col premio, e io ne ho scelto uno tra questi.
L’ora di greco. Un libro dal titolo altamente evocativo per chi, come me, ha fatto il classico. Come dimenticare l’ora di greco e la nostra mitica professoressa? Come non ricordare la difficoltà nel leggere quello strano alfabeto, e la bellezza di quei frammenti di poesia così cinici e così poco allineati di Archiloco? Ma questo non c’entra davvero niente con il libro. È solo una questione di affinità.
Han Kang è un’autrice della Corea del Sud, un paese complicato, e molte delle cose che scrive non ci sono proprio del tutto familiari. I due protagonisti del libro, una donna e un uomo, sono anche loro coreani ma lui, emigrato in Germania da ragazzo e poi ritornato in patria, ha comunque subito una certa contaminazione europea. Entrambi hanno un passato difficile alle spalle, entrambi hanno delle disabilità ed entrambi non hanno nome. O meglio, non vengono mai chiamati con il loro nome. Questa cosa potrebbe disturbare, creando una sorta di anonimato che non permette di identificarli. Eppure è proprio questa mancanza di nome che li rende universali.
In quanto alla loro disabilità, la si potrebbe definire intermittente. Lei non ha parlato quasi mai, lui non vede quasi più. Mentre per l’uomo la cecità si avvicina progressivamente, per la donna l’assenza della lingua è sicuramente dovuta a traumi familiari ripetuti nel tempo. Una sorta di rifiuto a dire la sua in un mondo ostile e complicato. Nemmeno lo psicologo che frequenta riesce a venirne a capo e, alle soluzioni che le offre, lei si limita a scrivere su un foglietto: “Non è così semplice.”
Davvero, non sono mai semplici le risposte ai nostri problemi. E lei, forse per caso, forse per un’intuizione che non si avvererà del tutto, allo psicologo preferisce l’ora di greco. E, a insegnare l’antica lingua dei saggi e dei poeti, c’è lui, il professore semicieco. La tecnica di scrittura del libro è quella sempre valida dell’alternanza del racconto tra i due protagonisti: un capitolo ciascuno. Solo a volte i due si incrociano all’interno della storia, ma il professore la intravede e forse ne intuisce la profondità, mentre lei non parla, china sul foglio dove trascrive le frasi degli antichi filosofi. Sembrerebbero due strade destinate a non incrociarsi mai se non fosse per un incidente (banale per ciascuno di noi, terribile per un ipovedente), la rottura degli occhiali che permettono al professore una ridottissima autonomia, che li fa incontrare in una sorta di mutuo aiuto tra persone confuse.
La vetta del romanzo la si raggiunge nel 19° capitolo, il più lungo, il più bello, e di gran lunga il più toccante in cui, nel semibuio di una stanza, in un clima surreale, i due si avvicinano a tal punto da baciarsi l’anima. Il professore parlando a ruota libera di sé e di tutti i traumi della sua vita; e al tempo stesso interrogando insistentemente la donna sulla sua di vita, ma non ottenendo altro che silenzi o qualche parola segnata con l’indice sul palmo della mano. Eppure, in questo assurdo dialogo che si protrae per tutta la notte, c’è molta più comprensione ed empatia di quanta se ne possa trovare in una coppia “normale”. L’atmosfera ondeggia a mano a mano che il capitolo va avanti, tra oscurità e silenzi. E tutto è vago ma tutto è sempre più chiaro. Forse staranno insieme per il resto della vita, o forse no. Non l’ho capito e francamente non è quello il punto.
L’autrice ci ha messo due anni a scrivere questo libro. E ne è valsa la pena. Mi piace sempre concludere ricordando la motivazione con cui viene assegnato il Nobel per la letteratura. Quella di Han Kang è la seguente:
“Per la sua intensa prosa poetica che affronta i traumi storici ed espone la fragilità della vita umana”.


di Massimo Grisafi


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