CLASSICI
Alfredo Ronci
Poco classico? “L’impazienza di Rigo” di Giancarlo Buzzi.

A volte ci è stato chiesto, in tutti questi anni della rivista Il Paradiso, (sembra uno scherzo, ma sta per compiere 35 anni, anche se la rubrica “I classici” ha iniziato il suo percorso nei primi anni del nuovo secolo) in che modo noi stabiliamo cos’è un classico e cosa non lo è.
Per carità, tutte le risposte sono candidabili (e già, dagli inizi ad oggi, lo abbiamo anche ormai detto, si è deciso di non tralasciare i “classicissimi” per eccellenza perché tutto sommato ci pareva brutto ed improponibile), ma quella che più s’accosta alla nostra decisione è che – mi raccomando non sorridete o non prendeteci per i fondelli – non siamo noi a stabilire cosa e importante e cosa no, ma è lo stesso classico a dirci cosa è un “classico” e cosa no.
In genere noi scegliamo due titoli da pubblicare sulla rivista e ci facciamo guidare, nella maggior parte dei casi, dall’anno di edizione, in modo da mettere a confronto soprattutto il modo di scrivere e l’importanza editoriale. E quasi sempre ci si riesce. A volte invece andiamo per accumulo: cioè raccontare le stesse problematicità avendo dinanzi opere di differente stagionalità. E quasi sempre è questo il caso in cui il classico si fida di noi. Sembra una boutade, ma vi assicuriamo che non lo è.
E allora diciamo: perché abbiamo scelto il testo di Giancarlo Buzzi, L’importanza di Rigo, per metterlo a confronto con un’opera di Daniele Del Giudice? Ma soprattutto: perché abbiamo scelto un autore come Buzzi per inserirlo in un “classico” considerando il fatto che nella realtà, a parte la sua ‘curiosa’ attività editoriale, di classico non ha mai avuto nulla? E soprattutto perché li mettiamo insieme considerando il fatto che, al di là di certe intuizioni, hanno due modi di scrivere completamente diversi?
Intanto togliamoci un sassolino dalla scarpa: nei trentacinque anni che dividono La tigre domestica (Vallecchi – 1964) da L’impazienza di Rigo (Camunia - 1999), il testo che andiamo a valutare, il Buzzi ha scritto, e lo diciamo anche con rispetto, solo altri tre libri. Nessuno può dire il perché, anche se il sospetto che questa parsimonia intellettuale dipendesse anche dal suo lavoro di dirigente e consulente di grandi imprese ci sembra assai corretta. Però non possiamo dirlo con esattezza e quindi andiamo avanti. Di certo non appare uno scrittore che va dietro alle mode e soprattutto non va dietro al successo.
L’impazienza di Rigo, libro quasi inusuale data la sua lunghezza (quasi quattrocento pagine), ha come indicazione geografica una località chiamata Beanza, che quasi tutti, pensiamo, indicheranno, giustamente, come Brianza, e un protagonista, tale Pomponazzi Amerigo, imprenditore, che è alle prese con la crisi dell’Italia degli anni ottanta/novanta, e con quelli che fanno fortuna in queste circostanze (Perché politico è colui che esemplarmente fa ciò che ogni uomo dovrebbe fare, demassarsi immassandosi, personarsi depersonandosi, individuarsi deindividuandosi (trae cioè, il politico – in tal modo ponendosi, per l’appunto, come modello all’uomo – la propria riconoscibile e asseribile individuità da una intenzionale, programmata, vigile, critica amalgamazione di sé con il collettivo).
Forse l’idea di confondere Pomponazzi con Berlusconi (gli anni sono quelli e qualcuno lo ha fatto per davvero) non credo sia fattibile, soprattutto considerando il modo di esprimersi del protagonista, ma Buzzi il suo linguaggio, ricco e pieno anche di parole inventate, se proprio gli vogliamo dare un imprimatur, è da ‘addebitarlo’ a Carlo Emilio Gadda (che anche lui in qualche modo raccontò la crisi dell’Italia del Nord).
Ma qui tutto è diverso, e in un paese intriso di corruzione, l’utopista Rigo è l’unico intenzionato a fare i conti con la giustizia e pure con Dio: E come dice la quarta di copertina… la sua brama di espiazione e punizione appare assurda o male orientata agli occhi dei concittadini e dell’Altissimo.
Come si dice in un passaggio… “Io trovo che faresti meglio a combattere. C’è la sinistra da fare rinascere, come dicono da rifondare. Non vorremmo davvero che il Paese finisca in mano alle destre?” “Per me questo non è tempo di combattimento, ma di castigo…
Opera ironica, cinica, drammatica, da commedia, con uno stile linguistico anche azzardato e sviscerato, ma tutto sommato pregno di una realtà fastidiosa e grottesca.
L’edizione da noi considerata è:
Giancarlo Buzzi
L’impazienza di Rigo
Camunia
Per carità, tutte le risposte sono candidabili (e già, dagli inizi ad oggi, lo abbiamo anche ormai detto, si è deciso di non tralasciare i “classicissimi” per eccellenza perché tutto sommato ci pareva brutto ed improponibile), ma quella che più s’accosta alla nostra decisione è che – mi raccomando non sorridete o non prendeteci per i fondelli – non siamo noi a stabilire cosa e importante e cosa no, ma è lo stesso classico a dirci cosa è un “classico” e cosa no.
In genere noi scegliamo due titoli da pubblicare sulla rivista e ci facciamo guidare, nella maggior parte dei casi, dall’anno di edizione, in modo da mettere a confronto soprattutto il modo di scrivere e l’importanza editoriale. E quasi sempre ci si riesce. A volte invece andiamo per accumulo: cioè raccontare le stesse problematicità avendo dinanzi opere di differente stagionalità. E quasi sempre è questo il caso in cui il classico si fida di noi. Sembra una boutade, ma vi assicuriamo che non lo è.
E allora diciamo: perché abbiamo scelto il testo di Giancarlo Buzzi, L’importanza di Rigo, per metterlo a confronto con un’opera di Daniele Del Giudice? Ma soprattutto: perché abbiamo scelto un autore come Buzzi per inserirlo in un “classico” considerando il fatto che nella realtà, a parte la sua ‘curiosa’ attività editoriale, di classico non ha mai avuto nulla? E soprattutto perché li mettiamo insieme considerando il fatto che, al di là di certe intuizioni, hanno due modi di scrivere completamente diversi?
Intanto togliamoci un sassolino dalla scarpa: nei trentacinque anni che dividono La tigre domestica (Vallecchi – 1964) da L’impazienza di Rigo (Camunia - 1999), il testo che andiamo a valutare, il Buzzi ha scritto, e lo diciamo anche con rispetto, solo altri tre libri. Nessuno può dire il perché, anche se il sospetto che questa parsimonia intellettuale dipendesse anche dal suo lavoro di dirigente e consulente di grandi imprese ci sembra assai corretta. Però non possiamo dirlo con esattezza e quindi andiamo avanti. Di certo non appare uno scrittore che va dietro alle mode e soprattutto non va dietro al successo.
L’impazienza di Rigo, libro quasi inusuale data la sua lunghezza (quasi quattrocento pagine), ha come indicazione geografica una località chiamata Beanza, che quasi tutti, pensiamo, indicheranno, giustamente, come Brianza, e un protagonista, tale Pomponazzi Amerigo, imprenditore, che è alle prese con la crisi dell’Italia degli anni ottanta/novanta, e con quelli che fanno fortuna in queste circostanze (Perché politico è colui che esemplarmente fa ciò che ogni uomo dovrebbe fare, demassarsi immassandosi, personarsi depersonandosi, individuarsi deindividuandosi (trae cioè, il politico – in tal modo ponendosi, per l’appunto, come modello all’uomo – la propria riconoscibile e asseribile individuità da una intenzionale, programmata, vigile, critica amalgamazione di sé con il collettivo).
Forse l’idea di confondere Pomponazzi con Berlusconi (gli anni sono quelli e qualcuno lo ha fatto per davvero) non credo sia fattibile, soprattutto considerando il modo di esprimersi del protagonista, ma Buzzi il suo linguaggio, ricco e pieno anche di parole inventate, se proprio gli vogliamo dare un imprimatur, è da ‘addebitarlo’ a Carlo Emilio Gadda (che anche lui in qualche modo raccontò la crisi dell’Italia del Nord).
Ma qui tutto è diverso, e in un paese intriso di corruzione, l’utopista Rigo è l’unico intenzionato a fare i conti con la giustizia e pure con Dio: E come dice la quarta di copertina… la sua brama di espiazione e punizione appare assurda o male orientata agli occhi dei concittadini e dell’Altissimo.
Come si dice in un passaggio… “Io trovo che faresti meglio a combattere. C’è la sinistra da fare rinascere, come dicono da rifondare. Non vorremmo davvero che il Paese finisca in mano alle destre?” “Per me questo non è tempo di combattimento, ma di castigo…
Opera ironica, cinica, drammatica, da commedia, con uno stile linguistico anche azzardato e sviscerato, ma tutto sommato pregno di una realtà fastidiosa e grottesca.
L’edizione da noi considerata è:
Giancarlo Buzzi
L’impazienza di Rigo
Camunia
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