RECENSIONI
Hanya Yanagihara
Una vita come tante
Sellerio, Luca Briasco, Pag. 1104 Euro 22,00
Tempo fa un giovane scrittore mi offre, tramite mail, la possibilità di avere in lettura il suo ultimo libro. Senza esitazioni gli dissi che non leggevo novità.
Strano no? La verità è un’altra, che comunque non mi va di trattare in questa recensione. Però un po’ di abituale civetteria nella mia scemenza c’era e continuo a confessarla.
Perché questa introduzione? Semplice: mi sono trovato davanti una bella novità (diciamo… di peso, viste le 1104 pagine di cui è composta l’opera) e ho accettato di confrontarmi con una scrittrice di cui non sapevo assolutamente un accidenti ma che risvegliava in me antiche pulsioni letterarie.
Diciamo che il peso del romanzo non avvantaggiava la lettura (dopo le mille pagine do la mia disponibilità di lettore solo alla Recherche e a qualche sparuto russo), ma comunque visto che mi ero tirato in sorte, ho deciso di tirare avanti e farmi del male.
Mi sono fatto male a metà. E spiego in breve il perché. Il romanzo sta tutto nella storia di quattro amici. Willem, dall’animo gentile, vuole fare l’attore. JB, scaltro e a volte crudele, insegue un accesso al mondo dell’arte. Malcolm è un architetto frustrato in uno studio prestigioso. Jude, avvocato brillante e di enigmatica riservatezza, è il loro centro di gravità.
E’ proprio su Jude che si concentra l’attenzione di Hanya Yanagihara, scrittrice statunitense, di origine hawaiane. Soprattutto sulla sua resistenza nei confronti degli altri, amici e non , e sul mistero del perché le sue gambe non sono più come una volta e che a tratti rischia di non alzarsi da terra.
Detto così sembra una storia misteriosa ed oscura (per certi versi lo è, ma la Yanagihara ha altre frecce nel suo arco), in realtà la vicenda si dipana attraverso situazioni apparentemente paradossali, ma tutte riportate alla dimensione del protagonista, di cui la scrittrice sembra avere una particolare predilezione.
Perché dico allora che mi sono fatto male a metà? Perché pur sopportando le affinità elettiva di chi l’opera l’ha non solo scritta, ma data la struttura, anche amata, ho trovato esagerato e a volte del tutto inconcludenti, alcuni passaggi che una versione ridotta e meno asfissiante del romanzo, avrebbero potuto destare altre situazioni.
Una vita come tante è un medio romanzo newyorkese, con medi personaggi, nonostante certe emergenze, ma con un peso intellettuale non indifferente. Soprattutto per le mani che lo devono sostenere nella lettura.
di Alfredo Ronci
Strano no? La verità è un’altra, che comunque non mi va di trattare in questa recensione. Però un po’ di abituale civetteria nella mia scemenza c’era e continuo a confessarla.
Perché questa introduzione? Semplice: mi sono trovato davanti una bella novità (diciamo… di peso, viste le 1104 pagine di cui è composta l’opera) e ho accettato di confrontarmi con una scrittrice di cui non sapevo assolutamente un accidenti ma che risvegliava in me antiche pulsioni letterarie.
Diciamo che il peso del romanzo non avvantaggiava la lettura (dopo le mille pagine do la mia disponibilità di lettore solo alla Recherche e a qualche sparuto russo), ma comunque visto che mi ero tirato in sorte, ho deciso di tirare avanti e farmi del male.
Mi sono fatto male a metà. E spiego in breve il perché. Il romanzo sta tutto nella storia di quattro amici. Willem, dall’animo gentile, vuole fare l’attore. JB, scaltro e a volte crudele, insegue un accesso al mondo dell’arte. Malcolm è un architetto frustrato in uno studio prestigioso. Jude, avvocato brillante e di enigmatica riservatezza, è il loro centro di gravità.
E’ proprio su Jude che si concentra l’attenzione di Hanya Yanagihara, scrittrice statunitense, di origine hawaiane. Soprattutto sulla sua resistenza nei confronti degli altri, amici e non , e sul mistero del perché le sue gambe non sono più come una volta e che a tratti rischia di non alzarsi da terra.
Detto così sembra una storia misteriosa ed oscura (per certi versi lo è, ma la Yanagihara ha altre frecce nel suo arco), in realtà la vicenda si dipana attraverso situazioni apparentemente paradossali, ma tutte riportate alla dimensione del protagonista, di cui la scrittrice sembra avere una particolare predilezione.
Perché dico allora che mi sono fatto male a metà? Perché pur sopportando le affinità elettiva di chi l’opera l’ha non solo scritta, ma data la struttura, anche amata, ho trovato esagerato e a volte del tutto inconcludenti, alcuni passaggi che una versione ridotta e meno asfissiante del romanzo, avrebbero potuto destare altre situazioni.
Una vita come tante è un medio romanzo newyorkese, con medi personaggi, nonostante certe emergenze, ma con un peso intellettuale non indifferente. Soprattutto per le mani che lo devono sostenere nella lettura.
di Alfredo Ronci
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