RECENSIONI
Anne Hébert
Un vestito di luce
Luciana Tufani Editrice, Pag. 122 Euro 12,00
Mi sono sempre chiesto come mai una donna voglia scrivere una storia con protagonisti due maschi gay. Me lo sono chiesto dopo il romanzo della Annie E. Proulx e il film omonimo, I segreti di Brokeback Mountain, assurto a fasti hollywoodiani e lo faccio ora dopo la lettura di questa delicata vicenda di incomprensioni e soprusi.
Non ho una risposta tra l'altro, ma la tematica mi incuriosisce (se qualcuno ce l'ha può mandarla alla nostra redazione, ne saremo eternamente grati).
Un vestito di luce della scrittrice canadese Anne Hébert, purtroppo già scomparsa, gioca ambiguamente sin dal titolo: con l'espressione si vuole intendere il così detto traje de luz, il caratteristico costume portato dal torero nell'arena. Che per quanto segno di un machismo e di una condizione di sopraffazione, per la sua tessitura e per i suoi colori presenta delle caratteristiche molto femminili (i collant di seta, i motivi floreali, le paillettes).
La storia ha anch'essa tratti ambigui, non il finale che, regola quasi basilare per una storia gay, registra un finale tragico spezza cuori. Miguel, un adolescente figlio di immigrati spagnoli, si innamora di un danzatore che nel locale notturno parigino "Paradiso Perduto" interpreta il ruolo dell'angelo caduto. Ma diventerà rivale della propria madre anch'essa travolta ed attratta dallo stesso uomo.
Ma la passione di Miguel coinvolge la sua ricerca ossessiva di una presenza maschile diversa dal padre-padrone che lo ha educato ad una visione esistenziale fatta di muscoli e decisionismo ed il suo essere femmineo ed efebico di natura: Mentre ritorno a casa, lentamente, trascinando i piedi passo dopo passo, ho tutto il tempo per pensare che se la vita fosse fatta meglio la figlia della signora Guillou non avrebbe torto a non amare le bambole e io avrei ragione di adorarle (pag. 30).
Non può inoltre sottrarsi ad una condizione sotto messa, quasi ricalco di uno status che trova appigli e fondamenta storiche nei "condizionamenti" femminili, quasi di ispirazione romantica: Mi dice "va", e io vado. Mi dice "vieni" e io vengo. La mia felicità dipende dalla mia obbedienza. Quando il sipario si alzerà e comincerà lo spettacolo, sarò pronto a vedere e sentire tutto. L'origine stessa del mondo mi sarà allora rivelata, in uragano di musica. (Pag. 53).
Una creatura del genere non può non soccombere e cederà senza prima aver tentato tutte le carte, anche quella di chiedere in sposo l'avvenente ballerino.
La Hebert con pennellate impressioniste e con rara cesellatura emozionale tiene le righe della storia, soprattutto rende affascinante e dolorosa la figura di questo ragazzetto esile e tormentato sopraffatto più ancora che dalla violenza della vita, dalla forza quasi innaturale dei suoi istinti.
Finirà nella Senna e la madre urla talmente forte da farsi sentire fino alla strada. E il padre, stando alle voci che corrono, gironzola in città, nella speranza di riprendersi sua moglie e cancellare ogni traccia di disonore dalla sua casa.
Uffa però questi gay "tanto sensibili" quanti problemi procurano! Non sarà il caso, prima o poi, che il "movimento" passi alla cassa per riscuotere il dovuto, e con interessi, per secoli di immagini e parole maledette e frustranti, ancorché socialmente delittuose? Anche se poi mica è vero il detto virgiliano ad uno disce ominis (da uno capisci come son tutti).
di Alfredo Ronci
Non ho una risposta tra l'altro, ma la tematica mi incuriosisce (se qualcuno ce l'ha può mandarla alla nostra redazione, ne saremo eternamente grati).
Un vestito di luce della scrittrice canadese Anne Hébert, purtroppo già scomparsa, gioca ambiguamente sin dal titolo: con l'espressione si vuole intendere il così detto traje de luz, il caratteristico costume portato dal torero nell'arena. Che per quanto segno di un machismo e di una condizione di sopraffazione, per la sua tessitura e per i suoi colori presenta delle caratteristiche molto femminili (i collant di seta, i motivi floreali, le paillettes).
La storia ha anch'essa tratti ambigui, non il finale che, regola quasi basilare per una storia gay, registra un finale tragico spezza cuori. Miguel, un adolescente figlio di immigrati spagnoli, si innamora di un danzatore che nel locale notturno parigino "Paradiso Perduto" interpreta il ruolo dell'angelo caduto. Ma diventerà rivale della propria madre anch'essa travolta ed attratta dallo stesso uomo.
Ma la passione di Miguel coinvolge la sua ricerca ossessiva di una presenza maschile diversa dal padre-padrone che lo ha educato ad una visione esistenziale fatta di muscoli e decisionismo ed il suo essere femmineo ed efebico di natura: Mentre ritorno a casa, lentamente, trascinando i piedi passo dopo passo, ho tutto il tempo per pensare che se la vita fosse fatta meglio la figlia della signora Guillou non avrebbe torto a non amare le bambole e io avrei ragione di adorarle (pag. 30).
Non può inoltre sottrarsi ad una condizione sotto messa, quasi ricalco di uno status che trova appigli e fondamenta storiche nei "condizionamenti" femminili, quasi di ispirazione romantica: Mi dice "va", e io vado. Mi dice "vieni" e io vengo. La mia felicità dipende dalla mia obbedienza. Quando il sipario si alzerà e comincerà lo spettacolo, sarò pronto a vedere e sentire tutto. L'origine stessa del mondo mi sarà allora rivelata, in uragano di musica. (Pag. 53).
Una creatura del genere non può non soccombere e cederà senza prima aver tentato tutte le carte, anche quella di chiedere in sposo l'avvenente ballerino.
La Hebert con pennellate impressioniste e con rara cesellatura emozionale tiene le righe della storia, soprattutto rende affascinante e dolorosa la figura di questo ragazzetto esile e tormentato sopraffatto più ancora che dalla violenza della vita, dalla forza quasi innaturale dei suoi istinti.
Finirà nella Senna e la madre urla talmente forte da farsi sentire fino alla strada. E il padre, stando alle voci che corrono, gironzola in città, nella speranza di riprendersi sua moglie e cancellare ogni traccia di disonore dalla sua casa.
Uffa però questi gay "tanto sensibili" quanti problemi procurano! Non sarà il caso, prima o poi, che il "movimento" passi alla cassa per riscuotere il dovuto, e con interessi, per secoli di immagini e parole maledette e frustranti, ancorché socialmente delittuose? Anche se poi mica è vero il detto virgiliano ad uno disce ominis (da uno capisci come son tutti).
di Alfredo Ronci
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