CLASSICI
Alfredo Ronci
Un onesto raccontare: “Il sergente nella neve” di Mario Rigoni Stern.

E questo sarei io: Rigoni Mario di GioBatta, n.15454 di matricola, sergente maggiore del 6° reggimento alpini, battaglione Vestone, cinquantacinquesima compagnia, plotone mitraglieri. Una crosta sul viso, la barba come fili di paglia, i baffi sporchi di muco, gli occhi gialli, i capelli incollati sulla testa del passamontagna, un pidocchio che cammina sul collo. Mi sorriso.
Mario Rigoni Stern scrive quello che, anche nelle note informative dell’edizione che andiamo curando, è ritenuto il più famoso libro di guerra uscito in Italia. E che, per definirlo ancora di più, lo abbiamo fatto riportando inizialmente un passo della storia in cui, appunto Rigoni Stern, si vede in uno specchio quando è certo ormai che il peggio è passato.
Non solo, dopo varie vicissitudini (il romanzo fu inizialmente scritto nel 1944 nei campi di concentramento tedeschi, poi rifinito nel 1947 quando fu proposto a Elio Vittorini e infine edito nei “Gettoni” nel 1953) il romanzo vinse, sempre nel 1953, il premio Viareggio suscitando unanime entusiasmo tra critici e lettori.
Ma fu veramente così? La domanda sorge spontanea perché, al di là del consenso che l’opera ebbe, ci fu anche chi, pur ammettendo la bontà del prodotto, rimarcasse un po’ anche le differenze con l’arte dello scrivere. Lo stesso Vittorini parlando del romanzo e di Rigoni Stern disse: Forse l’unica testimonianza del genere da cui si riceva una impressione più di carattere estetico che sentimentale o polemico, o insomma pratico. Una piccola Anabasi dialettale. Finendo poi col dire che il romanzo era rozzo ma efficace.
Potremmo molto disquisire sul senso della parola “rozzo” anche se, lo crediamo veramente, l’unico appunto che forse Vittorini includeva nella sua disanima era che il romanzo, secondo invece quanto detto da Domenico Porzio, era… Non il più preciso, non il più giusto, non il più polemico: il più bello.
Perché dunque riportare tutte queste definizioni di altri letterati? Forse perché su Il sergente nella neve si sono dette alcune cose vere, altre oneste, altre sincere, ma non tutte veritiere poi ad una verifica più approfondita. Tanto per intenderci, al di là di uno stile “rozzo”, ma è proprio vero che fu il più importante e famoso libro di guerra uscito in Italia? Per non scostarci molto da quanto affermato finora ci facciamo aiutare da un altro grande “letterato”, Alberto Asor Rosa, che nel suo saggio L’epopea tragica di un popolo non guerriero, contenuto ne La storia d’Italia (vol.28) afferma che molte furono le opere che trattarono la seconda guerra mondiale e tra queste: Quattro stracci di Roberto Carità, Centomila gavette di ghiaccio di Giulio Bedeschi, Sagapò di Renzo Biason e Guerra in camicia nera di Giuseppe Berto (che noi abbiamo già trattato) aggiungendo poi alla fine di come queste testimonianze apportarono… la dissacrazione dei miti militari, spesso debordante nella commedia o nella farsa, per la Grecia; il dramma del deserto africano; la tragedia della steppa russa. Più in là, come vedremo, l’orrore dei campi di prigionia e di sterminio.
C’è un altro fattore che in qualche modo segnò il romanzo di Rigoni Stern: l’assoluta mancanza di chi determinò la tragedia della campagna di Mosca: Benito Mussolini. I soldati combattono, s’incazzano, muoiono dalla fatica ma nessuna bocca, pur con tante privazioni, riesce a testimoniare l’assoluta nullità di chi ha gestito il potere.
E allora con questa testimonianza sì ricca, sì onesta, sì dolente, sì selvaggia non ci rimane che riportare alcuni brani che sono, questi sì, testimonianza di un dolore sentito e quasi assente. Come quando facciamo i conti, noi lettori, col senso della morte: Marangoni mi guardava, capiva tutto e taceva. E ora anche Marangoni è morto, un alpino come tanti. Un ragazzo era, anzi un bambino. Rideva sempre, e quando riceveva posta mi mostrava la lettera agitandola in alto: “E’ la morosa” diceva.
O quando si parla dell’universalità della speranza: Penso che il tenente stia proprio perdendo la ragione. Le donne e i bambini hanno capito e mi guardano con occhi terrorizzati. Piangendo si rivolgono a me parlando in russo. Che voce avevano le donne e i bambini. Sembrava il dolore di tutta l’umanità e la speranza. E la rivolta contro tutto il male. Prendo per un braccio il tenente ed usciamo.
In fondo siamo stati anche troppo “critici” nei confronti di Mario Rigoni Stern e del suo romanzo più significativo. Forse la pensiamo come tutti quelli che hanno incensato l’opera. E per una volta tanto al diavolo la struttura e lo stile letterario de Il sergente nella neve.
L’edizione da noi considerata è:
Mario Rigoni Stern
Il sergente nella neve
Oscar Mondadori
Mario Rigoni Stern scrive quello che, anche nelle note informative dell’edizione che andiamo curando, è ritenuto il più famoso libro di guerra uscito in Italia. E che, per definirlo ancora di più, lo abbiamo fatto riportando inizialmente un passo della storia in cui, appunto Rigoni Stern, si vede in uno specchio quando è certo ormai che il peggio è passato.
Non solo, dopo varie vicissitudini (il romanzo fu inizialmente scritto nel 1944 nei campi di concentramento tedeschi, poi rifinito nel 1947 quando fu proposto a Elio Vittorini e infine edito nei “Gettoni” nel 1953) il romanzo vinse, sempre nel 1953, il premio Viareggio suscitando unanime entusiasmo tra critici e lettori.
Ma fu veramente così? La domanda sorge spontanea perché, al di là del consenso che l’opera ebbe, ci fu anche chi, pur ammettendo la bontà del prodotto, rimarcasse un po’ anche le differenze con l’arte dello scrivere. Lo stesso Vittorini parlando del romanzo e di Rigoni Stern disse: Forse l’unica testimonianza del genere da cui si riceva una impressione più di carattere estetico che sentimentale o polemico, o insomma pratico. Una piccola Anabasi dialettale. Finendo poi col dire che il romanzo era rozzo ma efficace.
Potremmo molto disquisire sul senso della parola “rozzo” anche se, lo crediamo veramente, l’unico appunto che forse Vittorini includeva nella sua disanima era che il romanzo, secondo invece quanto detto da Domenico Porzio, era… Non il più preciso, non il più giusto, non il più polemico: il più bello.
Perché dunque riportare tutte queste definizioni di altri letterati? Forse perché su Il sergente nella neve si sono dette alcune cose vere, altre oneste, altre sincere, ma non tutte veritiere poi ad una verifica più approfondita. Tanto per intenderci, al di là di uno stile “rozzo”, ma è proprio vero che fu il più importante e famoso libro di guerra uscito in Italia? Per non scostarci molto da quanto affermato finora ci facciamo aiutare da un altro grande “letterato”, Alberto Asor Rosa, che nel suo saggio L’epopea tragica di un popolo non guerriero, contenuto ne La storia d’Italia (vol.28) afferma che molte furono le opere che trattarono la seconda guerra mondiale e tra queste: Quattro stracci di Roberto Carità, Centomila gavette di ghiaccio di Giulio Bedeschi, Sagapò di Renzo Biason e Guerra in camicia nera di Giuseppe Berto (che noi abbiamo già trattato) aggiungendo poi alla fine di come queste testimonianze apportarono… la dissacrazione dei miti militari, spesso debordante nella commedia o nella farsa, per la Grecia; il dramma del deserto africano; la tragedia della steppa russa. Più in là, come vedremo, l’orrore dei campi di prigionia e di sterminio.
C’è un altro fattore che in qualche modo segnò il romanzo di Rigoni Stern: l’assoluta mancanza di chi determinò la tragedia della campagna di Mosca: Benito Mussolini. I soldati combattono, s’incazzano, muoiono dalla fatica ma nessuna bocca, pur con tante privazioni, riesce a testimoniare l’assoluta nullità di chi ha gestito il potere.
E allora con questa testimonianza sì ricca, sì onesta, sì dolente, sì selvaggia non ci rimane che riportare alcuni brani che sono, questi sì, testimonianza di un dolore sentito e quasi assente. Come quando facciamo i conti, noi lettori, col senso della morte: Marangoni mi guardava, capiva tutto e taceva. E ora anche Marangoni è morto, un alpino come tanti. Un ragazzo era, anzi un bambino. Rideva sempre, e quando riceveva posta mi mostrava la lettera agitandola in alto: “E’ la morosa” diceva.
O quando si parla dell’universalità della speranza: Penso che il tenente stia proprio perdendo la ragione. Le donne e i bambini hanno capito e mi guardano con occhi terrorizzati. Piangendo si rivolgono a me parlando in russo. Che voce avevano le donne e i bambini. Sembrava il dolore di tutta l’umanità e la speranza. E la rivolta contro tutto il male. Prendo per un braccio il tenente ed usciamo.
In fondo siamo stati anche troppo “critici” nei confronti di Mario Rigoni Stern e del suo romanzo più significativo. Forse la pensiamo come tutti quelli che hanno incensato l’opera. E per una volta tanto al diavolo la struttura e lo stile letterario de Il sergente nella neve.
L’edizione da noi considerata è:
Mario Rigoni Stern
Il sergente nella neve
Oscar Mondadori
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