CINEMA E MUSICA
Alfredo Ronci
Sì va bene, ma Lancillotto.

Rieccoci ancora a parlare di Billie Holiday. Sì perché quella che è considerata la migliore cantante jazz del momento, Cassandra Wilson, ha dedicato parte del suo tempo e del suo talento a rinfrescare la memoria e ad offrire ad un pubblico attento e consapevole una manciata di canzoni immortali ed insostituibili.
Dov’è la fregatura (nel caso ci fosse)?
Sta non solo nel repertorio della Holiday, ma soprattutto nella sua tecnica di emissione.
Si sa, negli ultimi tempi la cantante di Baltimora, per le sue scarse condizioni fisiche, aveva ridotto di molto la sua vocalità, ma quello che usciva dall’ugola era quanto di più drammatico ed inconcepibile l’orecchio umano avesse mai sentito.
Dio solo lo sa cosa dissero i critici quando uscì Lady in Satin.
Dunque, nessuno chiede agli innumerevoli vocalist (la migliore interprete del repertorio della Holiday è stata Etta James con The right time) l’imitazione di un suono che mai potrà uscire.
Si chiede, nel limite del possibile, un’intensità ed una partecipazione consona al disco e all’interprete che si vuole omaggiare.
Cassandra Wilson non dà fregature, nel senso che il suo jazz è sempre molto attivo e presente, ma quello che la sua voce regala non sempre è adatto all’occasione.
Non è l’ottava e mezzo (o forse qualcosa di meno) di estensione della Holiday a fare la differenza, è un qualcosa che entra e esce dall’artista e che spesso noi ascoltatori non riusciamo fino alla fine a comprendere.
Cassandra Wilson a volte non comprende, nel senso che non riesce a dare quella profondità tipica dell’artista di Baltimora, anche se, in alcuni momenti (vedi All of me, These foolish things e soprattutto I’ll be seeing you) sentiamo una dinamica che ce la fa amare e rispettare.
Cassandra ha scelto anche il dramma più interiore di Billie, Billie’s Blue e l’inarrivabile Strange Fruit, ma è proprie nelle dinamiche troppo private del dolore che qualcosa, più di qualcosa, viene meno.
Dunque bene.
Brava.
6+
Cassandra Wilson
Coming forth by day
Sony Music
Dov’è la fregatura (nel caso ci fosse)?
Sta non solo nel repertorio della Holiday, ma soprattutto nella sua tecnica di emissione.
Si sa, negli ultimi tempi la cantante di Baltimora, per le sue scarse condizioni fisiche, aveva ridotto di molto la sua vocalità, ma quello che usciva dall’ugola era quanto di più drammatico ed inconcepibile l’orecchio umano avesse mai sentito.
Dio solo lo sa cosa dissero i critici quando uscì Lady in Satin.
Dunque, nessuno chiede agli innumerevoli vocalist (la migliore interprete del repertorio della Holiday è stata Etta James con The right time) l’imitazione di un suono che mai potrà uscire.
Si chiede, nel limite del possibile, un’intensità ed una partecipazione consona al disco e all’interprete che si vuole omaggiare.
Cassandra Wilson non dà fregature, nel senso che il suo jazz è sempre molto attivo e presente, ma quello che la sua voce regala non sempre è adatto all’occasione.
Non è l’ottava e mezzo (o forse qualcosa di meno) di estensione della Holiday a fare la differenza, è un qualcosa che entra e esce dall’artista e che spesso noi ascoltatori non riusciamo fino alla fine a comprendere.
Cassandra Wilson a volte non comprende, nel senso che non riesce a dare quella profondità tipica dell’artista di Baltimora, anche se, in alcuni momenti (vedi All of me, These foolish things e soprattutto I’ll be seeing you) sentiamo una dinamica che ce la fa amare e rispettare.
Cassandra ha scelto anche il dramma più interiore di Billie, Billie’s Blue e l’inarrivabile Strange Fruit, ma è proprie nelle dinamiche troppo private del dolore che qualcosa, più di qualcosa, viene meno.
Dunque bene.
Brava.
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