CLASSICI
Alfredo Ronci
Santa e poco realista: “I gioielli rubati” di Orsola Nemi.

Conservo ancora, dopo tanti anni, un ritaglio di un giornale, e precisamente Sette del Corriere della Sera, in cui Maurizio Serra, chissà poi per quali reconditi motivi, dedica due paginette della rivista a Orsola Nemi, e introducendo così: Chi legge più oggi Anna Banti o Gianna Manzini, Paola Masino o Fausta Cialente, Alba de Cespedes e Renata Viganò? (Potremmo dire noi del Paradiso, ma chissà cosa importerebbe a Setta?). Eppure, si sono lasciate alle spalle un’opera di rilievo, spesso superiore alla produzione dei loro coetanei “maschi”. Fra tutte, la più dimenticata, e non certo quella di minor talento, mi sembra Orsola Nemi.
Ora, a parte la nostra precisazione sulla lettura delle classiche, mi sembra che Serra si sia lasciato un po’ troppo andare sull’importanza della Nemi in confronto con tutte le altre scrittrici che ha nominato. Orsola Nemi è stata sì una scrittrice di un certo rilievo, ma secondo noi nulla nel condividere opere come Cortile a Cleopatra (Cialente), Nessuno torna indietro (de Cespedes) o L’Agnese va a morire (Viganò).
E infatti, spesso e volentieri (più spesso che volentieri), quando si nomina la Nemi (in contesti letterari e di cultura in genere) si fa cenno ad una polemica, resa dalla stessa abbastanza aspra, in cui ad una dichiarazione di Moravia in cui si affermava che ad ogni divinità africana corrisponde una o più divinità cattoliche… la Nemi rispondeva: A me, per esempio, non era affatto noto che i cattolici fossero politeisti. Non me n’ero mai accorta, né leggendo la Bibbia, né leggendo i Padri della Chiesa, o i mistici o i teologi. Né san Paolo né sant’Agostino me lo avevano detto. Se si parlasse di una religione orientale o di un culto polinesiano col modo approssimativo usato da Moravia per la nostra religione, si sarebbe accusati di incultura. Ma ignorare il cristianesimo, anzi il cattolicesimo, può essere elegante disinvoltura, e poi fa tanto progressivo.
Certo uno spirito attivo ed elegante (poi sulla ragione e sui torti lasciamo il giudizio ai posteri), ma che non sposta di un centimetro l’analisi che abbiamo fatto della sua opera e soprattutto della sua importanza. Anche in questo caso abbiamo un giudizio, abbastanza avveduto, di Giorgio Bàrberi Squarotti, sulle capacità narrative della Nemi: Su una linea appartata di discorso condotto avanti con fedeltà, anche se senza particolari accensioni di originalità, è Orsola Nemi, che ha scelto i temi di un gusto, abbastanza insolito in Italia, di sospesa magia, di affatturata e turbata natura, di sconvolgimento inquietante delle cose e della mente dell’uomo e dei suoi poteri; ma ha creduto sempre troppo poco nella possibilità di conoscere in questo modo una parte essenziale del reale entro i territori e le ricerche, le angosce e gli sforzi di dominio dell’uomo, per non ridursi o alla pura avventura, narrata senza altra fede che il concatenarsi degli eventi, o a un moralismo alquanto banale e vano.
Mi piace riprendere mano su questo giudizio dicendo che effettivamente in Orsola Nemi c’è una ‘linea appartata di discorso’ e che l’opera è spesso un ‘ridursi alla pura avventura’. E I gioielli rubati ne è un “saggio” suggestivo e concreto.
Diciamo linea appartata perché nella struttura che la Nemi fa della sua opera c’è sempre un elemento che fa da distanziatore dalla vera e propria realtà. Tanto per intenderci: il libro in questione è del 1958 e pur con evidenti movimenti che stanno producendo una certa distanza dai fatti della guerra da pochi anni terminata (fine del neo-realismo?), I gioielli rubati mostra soltanto qualche riferimento qua e là ai disastri passati e soprattutto ad una condizione di spaesamento. C’è solo un passaggio, peraltro sentito e bello, in cui la Nemi si lascia andare a sentimenti non banali (Chiusi le imposte e accesi la candela. Sapevo che ormai preziosi fantasmi, in quella graziosa stradina, non ne avrei più visti. Altre paure mi aveva insegnato la guerra, quella sera, oltre la misera paura di morire. Paura di quel che essa lascia nella vita.). E poi nulla più.
L’elemento distanziatore di cui si diceva in precedenza lo possiamo avvicinare ad una tensione appendicista che spesso la fa da padrona nei racconti della Nemi. Tensione appendicista che non ha nulla di reale ma che serve a mettere in evidenza elementi di “cattura”, come se davvero la scrittrice cercasse una via al successo ma che in realtà sembra una fuga.
Questo volume, come dice la seconda di copertina, riassume tutti i motivi della letteratura di Orsola Nemi (anche quelli di carattere più leggeri, come i racconti dedicati ai gatti, passione della scrittrice) ma c’è una storia (tra quelle più ‘moderne’) che avrebbe una sostanza letteraria che la distingue dalle altre, ed è L’anello di Sidonia, dove una giovane paesana manda alla redazione di un giornale racconti appunto appendicisti ma firmandosi con nome da uomo. E poi tutto il resto fatto di grazia e disperazione.
Non sarà una scrittrice “rivoluzionaria” ma Orsola Nemi val bene una messa.
L’edizione da noi considerata è:
Orsola Nemi
I gioielli rubati
Bompiani
Ora, a parte la nostra precisazione sulla lettura delle classiche, mi sembra che Serra si sia lasciato un po’ troppo andare sull’importanza della Nemi in confronto con tutte le altre scrittrici che ha nominato. Orsola Nemi è stata sì una scrittrice di un certo rilievo, ma secondo noi nulla nel condividere opere come Cortile a Cleopatra (Cialente), Nessuno torna indietro (de Cespedes) o L’Agnese va a morire (Viganò).
E infatti, spesso e volentieri (più spesso che volentieri), quando si nomina la Nemi (in contesti letterari e di cultura in genere) si fa cenno ad una polemica, resa dalla stessa abbastanza aspra, in cui ad una dichiarazione di Moravia in cui si affermava che ad ogni divinità africana corrisponde una o più divinità cattoliche… la Nemi rispondeva: A me, per esempio, non era affatto noto che i cattolici fossero politeisti. Non me n’ero mai accorta, né leggendo la Bibbia, né leggendo i Padri della Chiesa, o i mistici o i teologi. Né san Paolo né sant’Agostino me lo avevano detto. Se si parlasse di una religione orientale o di un culto polinesiano col modo approssimativo usato da Moravia per la nostra religione, si sarebbe accusati di incultura. Ma ignorare il cristianesimo, anzi il cattolicesimo, può essere elegante disinvoltura, e poi fa tanto progressivo.
Certo uno spirito attivo ed elegante (poi sulla ragione e sui torti lasciamo il giudizio ai posteri), ma che non sposta di un centimetro l’analisi che abbiamo fatto della sua opera e soprattutto della sua importanza. Anche in questo caso abbiamo un giudizio, abbastanza avveduto, di Giorgio Bàrberi Squarotti, sulle capacità narrative della Nemi: Su una linea appartata di discorso condotto avanti con fedeltà, anche se senza particolari accensioni di originalità, è Orsola Nemi, che ha scelto i temi di un gusto, abbastanza insolito in Italia, di sospesa magia, di affatturata e turbata natura, di sconvolgimento inquietante delle cose e della mente dell’uomo e dei suoi poteri; ma ha creduto sempre troppo poco nella possibilità di conoscere in questo modo una parte essenziale del reale entro i territori e le ricerche, le angosce e gli sforzi di dominio dell’uomo, per non ridursi o alla pura avventura, narrata senza altra fede che il concatenarsi degli eventi, o a un moralismo alquanto banale e vano.
Mi piace riprendere mano su questo giudizio dicendo che effettivamente in Orsola Nemi c’è una ‘linea appartata di discorso’ e che l’opera è spesso un ‘ridursi alla pura avventura’. E I gioielli rubati ne è un “saggio” suggestivo e concreto.
Diciamo linea appartata perché nella struttura che la Nemi fa della sua opera c’è sempre un elemento che fa da distanziatore dalla vera e propria realtà. Tanto per intenderci: il libro in questione è del 1958 e pur con evidenti movimenti che stanno producendo una certa distanza dai fatti della guerra da pochi anni terminata (fine del neo-realismo?), I gioielli rubati mostra soltanto qualche riferimento qua e là ai disastri passati e soprattutto ad una condizione di spaesamento. C’è solo un passaggio, peraltro sentito e bello, in cui la Nemi si lascia andare a sentimenti non banali (Chiusi le imposte e accesi la candela. Sapevo che ormai preziosi fantasmi, in quella graziosa stradina, non ne avrei più visti. Altre paure mi aveva insegnato la guerra, quella sera, oltre la misera paura di morire. Paura di quel che essa lascia nella vita.). E poi nulla più.
L’elemento distanziatore di cui si diceva in precedenza lo possiamo avvicinare ad una tensione appendicista che spesso la fa da padrona nei racconti della Nemi. Tensione appendicista che non ha nulla di reale ma che serve a mettere in evidenza elementi di “cattura”, come se davvero la scrittrice cercasse una via al successo ma che in realtà sembra una fuga.
Questo volume, come dice la seconda di copertina, riassume tutti i motivi della letteratura di Orsola Nemi (anche quelli di carattere più leggeri, come i racconti dedicati ai gatti, passione della scrittrice) ma c’è una storia (tra quelle più ‘moderne’) che avrebbe una sostanza letteraria che la distingue dalle altre, ed è L’anello di Sidonia, dove una giovane paesana manda alla redazione di un giornale racconti appunto appendicisti ma firmandosi con nome da uomo. E poi tutto il resto fatto di grazia e disperazione.
Non sarà una scrittrice “rivoluzionaria” ma Orsola Nemi val bene una messa.
L’edizione da noi considerata è:
Orsola Nemi
I gioielli rubati
Bompiani
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