CINEMA E MUSICA
Alfredo Ronci
Noia ed emozioni nel disco di Brad Mehldau e Anne Sofie Von Otter: 'Love songs'

Il miglior pianista 'figo del bigonzo' del pianeta l'ha fatta un po' grossa. Brad Mehldau, ormai prestato da anni al jazz, lui che ha una formazione del tutto classica, ha chiamato la mezzo soprano svedese Anne Sofie Von Otter (recidiva: nel 2001 si fece produrre da Elvis Costello per un album, For the stars, di indubbia grazia e suggestione) e le ha fatto incidere un doppio album. Ma se il secondo cd, con tutti i suoi difettucci, per lo meno ti rischiara la giornata, il primo attira nuvole e temporale.
Sì perché grossa è: componendo sette canzoni originali, con testi dei poeti E.Cummings, Philip Larkin e Sara Teasdale, Mehldau pur se ineccepibile nel piano, ricama un disco di sostanziale noia, dove l'impostazione lirica della Von Otter nulla toglie o aggiunge alla generale mestizia.
Dopo il terzo brano si fa fatica a star dietro all'inprevedibile coppia.
Meglio il secondo cd. La scelta della scaletta, probabilmente perché più vicina alle nostre istanze e alle nostre conoscenze musicali, ci sembra più consona ed azzeccata, con qualche inusuale, ma suggestivo, ripescaggio pop.
Ad esempio: mai mi sarei aspettato la 'riscrittura' di 'Marcie' di Joni Mitchell, tratto dall'album d'esordio della grande cantautrice americana (Song to a seagull) che la Von Otter, pur con un inglese leggermente calcato, rende al meglio e ci spinge a riascoltare pure l'originale. Meno seducenti le versioni della 'Blackbird' beatlesiana ed una delle popolar songs americane più conosciute al mondo (non è facile elencare le centinaia di versioni che sono state fatte in questi anni), quella 'Walkin my baby back home' che la cantante lirica esegue in lingua svedese.
Nel repertorio pop le cose più riuscite ci sembrano i brani in francese: 'Quand reviendras-tu' e soprattutto 'Pierre' della grande Barbara (pronuncia: Barbarà!) ci sembrano più adatte alla scansione drammaturgica dell'artista svedese. Non da meno un autore che andrebbe frequentato più spesso, anche da noi italiani, Michel Legrand: la Von Otten rilegge la 'Chanson de Maxence'.
Più adatto alle corde di Mehldau, per le sue influenze, 'Something good' di Richard Rodgers, che il musicista contrappunta con delicati riff jazz.
Ci pare del tutto fuori posto la stracitata 'Calling you' (la ricordate come colonna sonora del film Bagdad Cafè?) che la Von Otter coi suoi acutini lirici e melensi rende piatta e insignificante.
Insomma, il disco che l'artista svedese ha realizzato con Costello dieci anni fa ci era sembrato più centrato e sfizioso. Questo, pur se accompagnato da un prestigioso pianista, ci sembra operazione leziosa e da prima della classe. Ma tutti sanno che i primi della classe non sono mai risultati simpatici a nessuno.
Brad Mehldau & Anne Sofie Von Otter
Love songs
Naive
Sì perché grossa è: componendo sette canzoni originali, con testi dei poeti E.Cummings, Philip Larkin e Sara Teasdale, Mehldau pur se ineccepibile nel piano, ricama un disco di sostanziale noia, dove l'impostazione lirica della Von Otter nulla toglie o aggiunge alla generale mestizia.
Dopo il terzo brano si fa fatica a star dietro all'inprevedibile coppia.
Meglio il secondo cd. La scelta della scaletta, probabilmente perché più vicina alle nostre istanze e alle nostre conoscenze musicali, ci sembra più consona ed azzeccata, con qualche inusuale, ma suggestivo, ripescaggio pop.
Ad esempio: mai mi sarei aspettato la 'riscrittura' di 'Marcie' di Joni Mitchell, tratto dall'album d'esordio della grande cantautrice americana (Song to a seagull) che la Von Otter, pur con un inglese leggermente calcato, rende al meglio e ci spinge a riascoltare pure l'originale. Meno seducenti le versioni della 'Blackbird' beatlesiana ed una delle popolar songs americane più conosciute al mondo (non è facile elencare le centinaia di versioni che sono state fatte in questi anni), quella 'Walkin my baby back home' che la cantante lirica esegue in lingua svedese.
Nel repertorio pop le cose più riuscite ci sembrano i brani in francese: 'Quand reviendras-tu' e soprattutto 'Pierre' della grande Barbara (pronuncia: Barbarà!) ci sembrano più adatte alla scansione drammaturgica dell'artista svedese. Non da meno un autore che andrebbe frequentato più spesso, anche da noi italiani, Michel Legrand: la Von Otten rilegge la 'Chanson de Maxence'.
Più adatto alle corde di Mehldau, per le sue influenze, 'Something good' di Richard Rodgers, che il musicista contrappunta con delicati riff jazz.
Ci pare del tutto fuori posto la stracitata 'Calling you' (la ricordate come colonna sonora del film Bagdad Cafè?) che la Von Otter coi suoi acutini lirici e melensi rende piatta e insignificante.
Insomma, il disco che l'artista svedese ha realizzato con Costello dieci anni fa ci era sembrato più centrato e sfizioso. Questo, pur se accompagnato da un prestigioso pianista, ci sembra operazione leziosa e da prima della classe. Ma tutti sanno che i primi della classe non sono mai risultati simpatici a nessuno.
Brad Mehldau & Anne Sofie Von Otter
Love songs
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