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ATTUALITA'

Stefano Torossi

FRANCIS POULENC 1899 – 1963

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Nasce a Parigi, figlio di un grande industriale farmaceutico e di una pianista che lo incanta quando si siede alla tastiera. Ma è soprattutto affascinato dallo zio Papoum, il fratello della madre, che è esattamente come deve essere uno zio speciale: musicista anche lui e pittore, uomo di mondo, frequentatore di teatri e caffè; irresistibile mito per i nipotini.
Bambino prodigio (guarda un po’) a cinque anni studia pianoforte con mamma e a sette già compone piccoli brani e ammira Debussy, di cui però non riesce a suonare gli spartiti, mentre Schubert, appena ascoltato, gli riesce facilissimo.
Il suo nuovo insegnante e poi amico per la vita sarà Ricardo Vines, un grande pianista e didatta dell’epoca che lo metterà in contatto con il meglio del meglio della cultura, non solo musicale, francese.
Il centro di questa giostra di cervelli, oltre alla libreria Monnier è il locale “La Gaya” a Montparnasse, fondato nel 1917, che lui frequenta accanitamente.
In quello stesso anno c’è la prima esecuzione della sua “Rapsodie Negre”, dedicata a Satie.

Ma non è altrettanto fortunato con il Conservatorio di Parigi nel quale cerca di entrare facendosi presentare a Paul Vidal, sommo insegnante di composizione.
“Mi ha chiesto se gli avessi portato un manoscritto. Gli ho dato la partitura di “Rapsodie Negre”. L’ha letta attentamente, ha alzato il sopracciglio e vedendo la mia dedica a Satie si è infuriato e ha gridato queste esatte parole: Il tuo lavoro puzza! Stai cercando di farmi passare per uno scemo? Che cavolo è questa roba? Ah, vedo che ti sei unito al gruppo di Stravinskij, Satie & Co. Bene, allora addio!”

Alla fine della Prima Guerra Mondiale, Poulenc comincia a collaborare con grandi nomi della letteratura: Cocteau, Apollinaire, approfondendo così la sua intimità con i potenti intelletti di Francia. Non solo scrittori; è amico di Picasso, Modigliani, Valery, Claudel, Milhaud, Auric… superfluo ripeterlo: il centro del mondo in quell’epoca è Parigi.
1924, finalmente il successo! L’esecuzione a Montecarlo del suo “Les Biches”, commissionatogli da Djagilev per i Balletti Russi, lo lancia definitivamente. “La premiere di “Les Biches” è stata, se posso dirlo, un trionfo. Otto chiamate alla ribalta, cosa rarissima per Montecarlo”, scrive lui stesso in una lettera.
A questo punto della sua vita gli succede qualcosa che lo colpisce forte. In una serie impressionante di decessi perde tanti amici a cui è particolarmente affezionato. Questo lo spinge a fare un pellegrinaggio alla Madonna Nera di Rocamadour e o fa scivolare in uno stile di lavoro e di vita, lui che è da sempre uno spensierato gaudente, molto più sobrio; addirittura mistico. Compone la Messa in sol minore, lo Stabat Mater, le Litanie per la Vergine Nera, un Gloria, un concerto per organo…
Il successo continua ad aumentare anche grazie a una trionfale tournee in USA. Alla Scala di Milano è l’apoteosi per il suo “Dialoghi delle Carmelitane”. E così, di clamore in clamore, arriviamo al suo ultimo clamoroso concerto a Maastricht il 26 gennaio 1963.
Quattro giorni dopo, un infarto lo fulmina a casa sua a Parigi.

In gioventù ha dichiarato senza esitazione: “La mia musica è il mio ritratto”. L’amico Britten che lo conosce bene ci chiarisce come la musica di Poulenc possa anche apparire spiritosa, audace, sentimentale, maliziosa, tipicamente francese, ma in realtà Francis è spesso depresso, impressionabile, insicuro, soggetto al panico.
In più vive con tormento il contrasto fra la sua dichiarata omosessualità (che lui chiama sessualità parigina) e la sua profonda fede cattolica. Il suo primo rapporto ufficiale è con l’autista Destouches al quale dedica la sua opera “Le Mammelle di Tiresia”. Poi, più importante, arriva il pittore Chanlaire, poi ancora Lucien Roubert, che però un giorno lo abbandona facendolo sprofondare in una cupa depressione, dalla quale per fortuna lo salva il grande successo dei “Dialoghi delle Carmelitane”, terminato e messo in scena proprio in quel periodo.
Da questa lista di amori sbuca una sola donna, l’amica d’infanzia Raymonde Lynossier che lui vorrebbe sposare anche se non arriverà mai a dirglielo personalmente per paura di perdere la sua amicizia.  Raymonde muore prima che lui trovi il coraggio di dichiararsi e per un anno Francis non riesce a scrivere una nota. A lei aveva dedicato il suo primo balletto “Les Biches”, la cui partitura viene deposta nella bara dell’amica.


L’essenza artistica di Francis Poulenc emerge densa da questa sua propria dichiarazione: “I miei quattro compositori preferiti, i miei soli maestri sono Bach, Mozart, Satie e Stravinskij. Non mi piace per nulla Beethoven, detesto Wagner. Non sono né un musicista cubista, nemmeno un futurista e chiaramente neanche un impressionista. Sono un musicista senza un’etichetta”.



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