RECENSIONI
Uwe Timm
Tutti i miei fantasmi
Sellerio, Traduzione di Matteo Galli, Pag. 319 Euro 16.00
Come avevamo già detto in precedenza, cioè, nei primi due libri che Sellerio aveva pubblicato di Uwe Timm, stimatissimo scrittore tedesco, e da noi puntualmente recensiti, il problema forse più sintomatico della faccenda è che l’uomo parla molto del passato, anche del periodo nazista, ma lui del nazismo ha capito poco perché è nato ad Amburgo nel 1940.
Forse dire che ha capito poco è esagerato, visto le dinamiche che hanno portato poi alla fine del regime, certo però che pur essendo un ottimo osservatore, oltre che uno squisito scrittore, ed oltretutto una persona molto attenta ai periodi storici (e diciamocelo, in Germania ci vollero anni e anni dopo il crollo del nazismo perché si parlasse apertamente di colpe e di delitti), i suoi libri forse mancano di un pizzico di verità.
Tutti i miei fantasmi, lo dico con assoluta schiettezza, mi ha un po’ deluso. E la delusione deriva dal fatto che pur essendo un libro autobiografico (siamo nel dopoguerra e il padre dell’autore che è un pellicciaio, pur amando i libri, ritiene che il figlio debba proseguire la sua attività, e lo arruola quattordicenne, appena finite le medie, come apprendista in un laboratorio di pellicce) è tuttavia percorso da una linea intellettuale e narrativa che in qualche modo stravolge tutto l’impianto.
Cioè a dire: si parla ovviamente della crisi politica ed amministrativa della Germania, ma siccome Timm, ragazzo quattordicenne, ha dovuto abbandonare la scuola e gli scrittori che lui tanto amava, per poter lavorare, ecco che tutta l’opera è pervasa dagli incontri che lo stesso fa con le maggiori opere dell’otto-novecento. E si parla ovviamente di Kafka e di Gregor Samsa, di Dostoevskij e soprattutto dell’Idiota, di Thomas Mann e di William Faulkner, di Cechov e ovviamente di Tolstoj. E c’entra (eccome se c’entra) Omero e la sua Odissea.
Il problema è che Timm non li cita. Ne fa un quadro così esaustivo che ad un certo punto l’aspetto autobiografico si perde al confronto col riassunto di tanta arte.
Ma dunque sono rimasto deluso? Certamente, mi aspettavo il racconto di un ragazzo intelligente e vivace e mi sono ritrovato con un amante della letteratura che, pur ingegnoso, non ha capito la differenza tra il raccontare e il sentenziare.
di Alfredo Ronci
Forse dire che ha capito poco è esagerato, visto le dinamiche che hanno portato poi alla fine del regime, certo però che pur essendo un ottimo osservatore, oltre che uno squisito scrittore, ed oltretutto una persona molto attenta ai periodi storici (e diciamocelo, in Germania ci vollero anni e anni dopo il crollo del nazismo perché si parlasse apertamente di colpe e di delitti), i suoi libri forse mancano di un pizzico di verità.
Tutti i miei fantasmi, lo dico con assoluta schiettezza, mi ha un po’ deluso. E la delusione deriva dal fatto che pur essendo un libro autobiografico (siamo nel dopoguerra e il padre dell’autore che è un pellicciaio, pur amando i libri, ritiene che il figlio debba proseguire la sua attività, e lo arruola quattordicenne, appena finite le medie, come apprendista in un laboratorio di pellicce) è tuttavia percorso da una linea intellettuale e narrativa che in qualche modo stravolge tutto l’impianto.
Cioè a dire: si parla ovviamente della crisi politica ed amministrativa della Germania, ma siccome Timm, ragazzo quattordicenne, ha dovuto abbandonare la scuola e gli scrittori che lui tanto amava, per poter lavorare, ecco che tutta l’opera è pervasa dagli incontri che lo stesso fa con le maggiori opere dell’otto-novecento. E si parla ovviamente di Kafka e di Gregor Samsa, di Dostoevskij e soprattutto dell’Idiota, di Thomas Mann e di William Faulkner, di Cechov e ovviamente di Tolstoj. E c’entra (eccome se c’entra) Omero e la sua Odissea.
Il problema è che Timm non li cita. Ne fa un quadro così esaustivo che ad un certo punto l’aspetto autobiografico si perde al confronto col riassunto di tanta arte.
Ma dunque sono rimasto deluso? Certamente, mi aspettavo il racconto di un ragazzo intelligente e vivace e mi sono ritrovato con un amante della letteratura che, pur ingegnoso, non ha capito la differenza tra il raccontare e il sentenziare.
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